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Norah Jones – Day Breaks

daybreaks“I finally know who I’m supposed to be / My mind was locked but I found the key / Hope it don’t all slip away from me”. Difficile entrare nella testa di Norah e capire se le apparenze di questo frammento di Flipside siano effettivamente corrispondenti alla realtà o se sia solo per coincidenza che, dopo anni di girovagare artistico alla ricerca di un’identità, ritorni alla base – base che sarebbe il suo pop infuso di jazz, pochi esperimenti e tanta sostanza – e finalmente si conosca, finalmente capisca se stessa.

Ed è da subito dopo l’esordio “Come Away With Me” (2002) che Norah cerca di comprendere se stessa, aggiustando di volta in volta il tiro, ora per non ripetersi ora per trovare una direzione. E se ha funzionato l’influsso country di “Feels Like Home” (2004), non si può dire altrettanto del prosieguo della carriera della talentuosa figlia di Ravi Shankar: tra Little Willies, banalità in salsa pop e collaborazioni con Danger Mouse (!!!) e Billie Joe Armstrong dei Green Day (!!!), c’è molto poco di brutto o inascoltabile, ma ancor meno di musica rilevante, memorabile o valida.

È spesso triste constatare come il pubblico pretenda dagli artisti che facciano sempre la stessa cosa, salvo poi accusarli di essere ripetitivi. Ed è altrettanto triste che la critica tenda a volere la testa di chiunque sia riuscito ad avere largo successo di pubblico, a meno che non ripetano lo stesso exploit ad infinitum. Ma nel caso di questo Day Breaks non è affatto triste risentire Norah a casa, a suo agio e per di più orientata verso quella dimensione, il jazz, che ha sempre confessato essere la propria, se non a parole senz’altro con i fatti.

E così la ritroviamo a trasformare un alquanto ruvido Neil Young (Don’t Be Denied) in uno standard e snocciolare una nostalgica gragnola di pezzi jazz con venature pop (o pop con venature jazz, a seconda del caso), senza sputare nel piatto country nel quale ha per tanti anni mangiato (il singolo Carry On). Norah è in gran forma, centra ogni tanto il jackpot (deliziose And Then There Was You e la cover Fleurette Africane, nientemeno che di Duke Ellington) ed è matura, cresciuta, sinceramente più profonda della piccola gradevole chanteuse che cantava “Don’t Know Why” quasi quindici anni fa.

E persino “Don’t Know Why”, qui presente nelle ormai immancabili bonus track in una versione live al Newport Jazz Festival, risulta meno sbarazzina, più amara. Dopo averla ritrovata, speriamo solo che adesso Norah non ci sfugga nuovamente di mano.

(2016, Blue Note)

01 Burn
02 Tragedy
03 Flipside
04 It’s A Wonderful Time For Love
05 And Then There Was You
06 Don’t Be Denied
07 Day Breaks
08 Peace
09 Once I Had A Laugh
10 Sleeping Wild
11 Carry On
12 Fleurette Africaine (African Flower)

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.