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Rhye – Home

L’algida intimità sonora e testuale che aveva caratterizzato “Spirit” – lavoro del 2019 – e che lo aveva avvolto in una crisalide scarna ed essenziale, era sì stata ispirata dal pianoforte ricevuto in regalo da Mike Milosh, ma anche dal nuovo corso del progetto Rhye: non più a quattro mani e due cervelli, bensì tutto incentrato sull’estro del canadese. Certo, si dirà che anche “Blood” (2018) era già orfano di Robin Hannibal, ma lì la cifra stilistica, avvolgente ed erogena, era ancora legata al recente passato.

Pagato l’obolo crepuscolare, Milosh si è rimesso in cammino e, dopo aver riannodato il filo sonoro dei primi lavori, ha riproposto quella miscela di sophisti pop, nu-soul ed electro ambient che aveva fatto la fortuna del disco d’esordio. A questo occorre aggiungere l’immancabile contralto della sua peculiare voce androgina. Home è il risultato di questo processo creativo: tredici tracce composte e registrate sulle colline di Los Angeles, in piena solitudine eccetto che per la presenza della sua compagna e musa Geneviève Medow-Jenkins – già ritratta in scatti presenti sulle copertine dei lavori precedenti.

Se il processo creativo è molto solipsistico, è la sua realizzazione, invece, a trarre giovamento dall’ausilio di una band – tra i vari: Benjamin Schwier, Ian Meltzer, Itai Shapira, James Ghaleb e Peter Jacobson – che lo coadiuva anche in fase di produzione. In questo terzo full-length si respira, come nel precedente sostanzioso EP, intimità, ma in maniera diversa: toni caldi e fascianti aggomitolano l’ascoltatore in una nuvola sonora screziata di beat e bassi che gorgogliano groove dimesso. La eco glaciale dell’ambient nordico è messa in secondo piano, quasi dimenticata rispetto al passato.

Se l’apertura (Intro) – come la chiusura (Outro), del resto– è affidata a un brano strumentaleaccompagnato dai vocalizzi della Danish National Girls Choir, è con Come In Closer che ci si affaccia sull’universo elegante di Milosh: un invito sussurrato tempestato di ritmiche suadenti e scie di soul morbide come un cosmetico emolliente. Beautiful è una dichiarazione d’amore vestita da fine pop da camera inghirlandato di sfumature soul. In Safeword e Hold You Down Milosh e soci alzano leggermente la soglia del ritmo virando verso lidi sonori elettronici, senza perdere, tuttavia, l’anima nu-soul. Alcuni episodi della dorsale centrale del disco, però, sono languidi e soffrono di monotonia, creando un effetto intermittenza che spezza la fluidità sonora iniziale. A ricalibrare il tiro ci pensano l’enfasi degli archi e il borbottio groovoso dei bassi di Sweetest Revenge, pezzo che richiama il Sohn di “Rennen”. La fine riprende i toni suadenti e avvolgenti dei primi lavori: Fire è una ballad sussurrata al piano intarsiata di effetti sintetici, mentre Holy si muove su territori downtempoche ricordano il James Blake di “The Colour In Anything”.

“Home” è un lavoro che, se confrontato con i precedenti, mostra delle evidenti falle: il piattume della parte centrale toglie verve e intensità all’ottima parte iniziale. Tuttavia resta un buon disco, figlio di questi tempi compassati e rallentati.

(2021, Loma Vista)

01 Intro
02 Come In Closer
03 Beautiful
04 Safeword
05 Hold You Down
06 Need A Lover
07 Helpless
08 Black Rain
09 Sweetest Revenge
10 My Heart Bleeds
11 Fire
12 Holy
13 Outro

IN BREVE: 3,5/5

Nasco a S. Giorgio a Cremano (sì, come Troisi) nel 1989. Cresco e vivo da sempre a Napoli, nel suo centro storico denso di Storia e di storie. Prestato alla legge per professione, dedicato al calcio e alla musica per passione e ossessione.