Home RECENSIONI Roger Waters – The Dark Side Of The Moon Redux

Roger Waters – The Dark Side Of The Moon Redux

Non parleremo dell’uomo Roger Waters oggi. Sembra assurdo, lo capiamo, valutare oggi, nel 2023, un album senza fare delle considerazioni importanti sulla persona, su quello che dice, su quello che pensa, su che marca di sigarette fumi (sigarette? Orrore! L’album sarà pessimo!), sui suoi rapporti interpersonali con… Beh, forse saremo costretti a fare un accenno a qualcosa che riguarda l’uomo Roger Waters. Ma non emetteremo sentenze: quello è un compito che la separazione dei poteri assegna con estrema chiarezza ai Supremi Tribunali Riuniti di Meta e X, non vorremmo quindi violare il sacro principio montesquieiano. Parliamo quindi di musica, e se tanto non vi basta ce ne dispiacciamo. La musica della quale nello specifico andiamo a parlare è quella di uno dei più grandi album di sempre, un capolavoro assoluto che ha venduto 40 milioni di copie e che è forse l’apice creativo di una delle più grandi band di sempre. Quella musica che è nelle mani e dalla testa di Gilmour, Mason, Wright e Waters, certo. Ma che, a differenza da quanto avvenuto fino a poco prima (in ultima istanza con “Obscured By Clouds” dell’anno precedente) è unificata da un’idea solamente di Roger Waters, che per essa scrive interamente quei testi che oggi sono nella memoria collettiva.

“Ticking away the moments that make up a dull day…”

Waters, ottantenne, vuole onorare quella che è forse l’ultima grande opera collettiva della band ed il suo cinquantesimo anniversario ma, stranamente, ciò è apparso come se fosse andato a rubare le caramelle a qualche bambino al parco. Eppure non ricordiamo scandali quando Gilmour, Wright e Mason pubblicarono “Pulse” (1995), blockbuster mondiale dove eseguono The Dark Side Of The Moon dal vivo, nella sua interezza, senza il suo ideatore. Né vi fu levata di scudi per il remake operato dai Flaming Lips con Henry Rollins e Peaches nel 2009, o ancora per la straordinaria rivisitazione reggae degli Easy Dub All Stars nel 2003, epico quanto riuscito divertissement da fattoni. Ma, per qualche motivo, se il suo stesso ideatore si permette di fare la stessa cosa, il tribunale social e della critica riunita (come l’avevamo chiamato prima? Va beh, avete capito di chi parliamo, quelle mezze seghe là) accorre con forconi e torce chiedendo la testa di chi si è permesso un tale atto di egoismo. No, non Nick Mason con i suoi Saucerful Of Secrets, band con la quale va in tour a suonare pezzi dell’inizio della carriera dei Floyd scritti in larghissima parte dai colleghi e amici.

La musica, la musica, scusate, avevamo promesso. Chiunque abbia un minimo (ma proprio letteralmente un minimo) di conoscenza musicale conosce almeno le parti più importanti di TDSOTM, il tema della “lunacy” (la Luna del titolo, non intesa quindi in senso astronomico), quindi un rifacimento avrebbe senso, in questo cinquantenario – festeggiato a Marzo con un’edizione in Dolby Atmos e con un live a Wembley del 1974 – probabilmente solo se non pedissequo. Non avrebbe avuto alcun senso un remake del tenore di quello di “Money”, fatto nel 1981 da Gilmour per la compilation “A Collection Of Great Dance Songs” per motivi di licenze sul mercato americano.

Waters aggiunge a Speak To Me di Mason tre strofe della bellissima “Free Four” (dal già citato “Obscured By Clouds”) e trasforma TDSOTM, opera ricolma di moltissime emozioni, in un’opera diversa seppur identica, ricca di malinconia e di ricordi, e di tante, tante parole. Infatti Waters riempie quegli spazi meditativi e che narravano attraverso la musica con tonnellate di parole. Le sue parole; del resto lo sono sempre state. Racconta sogni (On The Run), aggiunge suoi testi editi (Speak To Me, ma anche Breathe, che presentano entrambe parti di “Free Four”) e ancora parla, parla enigmaticamente (Any Colour You Like); i brani, quelli leggendari, sono ancora lì, declamati nel senso coheniano del termine. “You want it darker?” verrebbe da chiedere. E poi il marchio di fabbrica floydiano: il suono. Nell’album originale, un’opera di superba maestria della band insieme ad Alan Parsons; in questo caso, una lectio magistralis di Waters insieme a Gus Seyffert. Un suono profondo, stratificato, che non lascia fuori nulla, che evidenzia le dinamiche e dà spessore alla voce, che magnifica i colori degli strumenti (che sono ancora Waters e Seyffert insieme a Joey Waronker, Johnny Shepherd, Jonathan Wilson, Jon Carin, Gabe Noel, Via Mardot) e che dà un senso all’intera operazione. Operazione che, poi, non vuole essere un ennesimo, triste capitolo nella guerra Waters vs. Gilmour ma, nelle parole di Waters stesso: “Un modo per onorare una registrazione della quale Nick, Rick, Dave e io abbiamo ogni diritto di esser fieri”.

Essenziale? Certamente no. Waters “continua a fare monologhi come un super-cattivo dei cartoni animati” e, musicalmente, è naturale che la mancanza delle essenziali parti di Mason, Gilmour e Wright – che Waters con molta dignità non riutilizza né sostituisce – porti l’ascoltatore a reinserirle mentalmente. Ma, come ha detto Nick Mason, è un’aggiunta interessante al leggendario album e, incredibilmente, appare improbabile che il vecchio Waters (la cui età finalmente corrisponde all’attitudine da umarell dell’artista inglese) possa venire in casa di qualunque dei detrattori a suonare l’album nelle casse dello stereo di casa a forza. Questa Redux è un’opera che potremmo accomunare alle edizioni “DVD commentary” di film o serie TV classiche, nelle quali registi e attori parlano sopra i dialoghi spiegando le scene. È assolutamente inessenziale, ma gradevole per chi vuole sentire cosa abbia ancora da dire Waters su uno dei più grandi dischi di tutti i tempi. Del quale, incidentalmente, è ideatore, autore principale e musicista. E inoltre suona magnificamente, che certamente non guasta.

Per tutti gli altri, c’è un suggerimento: non è necessario interessarsi di vita ed opere di persone che non vi piacciono, o delle quali non si condividono idee politiche o comportamenti. La lezione – che apparentemente potrebbe essere quella enunciata da Jeffrey Lebowski, il Drugo (“fottiti, lasciami in pace e vaffanculo!”), ripetuta, più o meno con le stesse parole, da Waters a un fan in un recente concerto – è che ognuno di noi ha dei lati negativi, dice delle cose orribili, ha dei comportamenti sbagliati. Chi più e chi meno. Qualcuno a favore di telecamera, altri nel privato della propria casa. Ognuno di noi ha probabilmente opinioni che non meritano di essere condivise o ricordate, e se la vita di ogni persona sulla terra fosse sotto costante analisi saremmo ognuno in guerra con l’altro. Vivere concentrandosi su questi lati (incidentalmente notiamo: solo quelli altrui) ci sta portando verso il precipizio: una guerra costante di umanità trasformata privatamente in un continuo lancio reciproco di feci, come fanno i nostri antenati nella scala evolutiva che su larga scala sta disgregando il tessuto sociale e quel patto che ci consente di vivere in una società. Potrebbe allora essere un esercizio interessante partire da quei per concentrarsi invece sui lati positivi altrui – nel caso di specie: la maestria sonora e compositiva di uno dei più grandi autori della storia del rock – e lasciare l’analisi del negativo ad una seduta col nostro terapista.

2023 | Cooking Vinyl

IN BREVE: 3,5/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.