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Tennis – Young & Old

Jeans strappati, bandana in testa, qualche collanaccia strizzata al collo e poi capelli da scaricatore di porto: Andrè Agassi era un pesce fuor d’acqua nello stilismo tennistico di qualche anno fa. Immaginatevelo così, Andrè, a tratti grunge, mentre sculetta il suo formidabile tennis nei tornei sacri dello Slam. Un sussulto vederlo lì, una macchia. Qualcosa di rock, in uno sport profondamente pop. Ok, chiediamo venia. L’incipit è forzatissimo. Ma insomma, la prima volta che agli occhi comparve il nome della ragione sociale dei coniugi Alaina Moore e Patrick Riley da Denver, i Tennis, alzi la mano a chi non è venuto un sorriso tra le labbra. E’ o no uno dei nomi più brutti di sempre per una band? Tennis? Bah! Poi certo, bastava ascoltare i primissimi accordi dolcissimi di “Cape Dory”, disco dell’anno scorso, per tornare alla faccenda del tennis come sport da abiti bianchi e signore sugli spalti a pararsi dal sole con un ombrellino. Canzoni poppissime, fragolose, coloratissime. Dopo un anno, ecco che maritoemoglie scendono in campo per il secondo set della loro carriera. Young & Old è un disco solo old. Cita le canzoni degli anni Sessanta. Cita Mamas Snd Papas e Beach Boys, stampa su cartoline in b/n coni gelato, sedie a sdraio, bagni nel lago, cannucce, crema solare, gite al parco, battelli sul fiume. Tutto con un’indubbia capacità nella melodia e nel du-du-du più scanzonato da gonna gonfia e sandali di legno. Un tennis, dunque, raffinato: colpi ad effetto, lob, robe antiche come le discese a rete di Becker o la riga di lato di Edberg, calzettoni di spugna alti alla caviglia e pantaloncini bianchi Sergio Tacchini. Che, tradotto in musica, significa brani di tre minuti scintillanti, sentimentali, con la voce della Moore a innamorarsi dell’amore, e un andamento giocherellone che illuminerebbe anche la più lurida delle catapecchie. Agassi non c’è, neanche in questo secondo match della band, non c’è… anche se poteva esserci considerando che alla produzione di “Young & Old” compare Patrick Carney dei Black Keys: band che magari qualche colpo proibito ce l’ha nel DNA (in realtà manco troppi, al massimo qualche racchetta lanciata per terra). I Tennis sono così: profondamente vintage. Sono mossetta di culo e occhiolino della girl che s’avvicina al bar della spiaggia. Tutto sommato divertente. Perché non è che ogni cosa può essere punk come Agassi e i suoi fusò fucsia dell’Arena. Via, diciamo che sono un game a testa. Ora per i Tennis è arrivato il momento del tie break.

(2012, Fat Possum)

01 It All Feels The Same
02 Origins
03 My Better Self
04 Traveling
05 Petition
06 Robin
07 High Road
08 Dreaming
09 Take Me To Heaven
10 Never To Part

A cura di Riccardo Marra