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The Arcs – Yours, Dreamily,

yoursdreamily“Outta my mind, but I made it”, canta Dan Auerbach nel primo singolo del suo side project, The Arcs, intitolato appropriatamente Yours, Dreamily,. Forse una confessione fittizia, forse reale, senz’altro è verosimile che il leader dei Black Keys, ormai produttore e proprietario di uno studio di registrazione a Nashville, abbia dovuto lasciarsi molto alle spalle per ottenere l’agognato successo. Ed è un dato di fatto che tutto ciò che tocchi diventi oro, su questo ci sono pochi dubbi. Poche chiacchere, poche dichiarazioni da prima pagina (anche quando Jack White fece infuocare la polemica anni fa, Auerbach se ne stette buono buonino in un angolo a continuare a suonare), Auerbach preferisce “lasciar parlare la musica”, per usare un modo di dire più che abusato.

Questo nuovo capitolo della saga di Re Mida, nato da un infortunio alla spalla di Patrick Carney, batterista dei Black Keys, vede Dan far comunella con Nick Movshon e Howard Steinweiss dei Dap Kings (noti soprattutto come turnisti per “Back To Black” di Amy Winehouse, ma non solo), Richard Swift degli Shins e Leon Michaels, multistrumentista che ha già lavorato con Auerbach in “Ultraviolence” di Lana Del Rey e che qui funge da co-produttore e da partner in crime. Nato quasi come un disco solista, si è trasfomato in un piccolo esperimento collaborativo tra amici che include nel calderone anche la band mariachi tutta femminile Flor de Toloache ai cori.

Come spesso accade nei side project, si sente molto la differenza in termini di atmosfera e performance: la rilassatezza di un divertissement raramente la si trova in un album; né ci si permette divagazioni musicali come quella di Come & Go, quasi tomwaitsiana nell’incedere (e che, a ogni buon conto, ha della gente che sta chiaramente trombando in sottofondo), o il mezzo dub di Everything You Do (You Do It For You).

È il soul a farla da padrone (come del resto lo era in parte di “Brothers”) e non i riff blues, e, seppur lo sforzo collaborativo si senta, è chiaramente Auerbach a tirare le redini: il già citato singolo Outta My Mind e The Arc sono niente più e niente meno che pezzi dei Black Keys con un suono differente. Già, il suono: una delle poche differenze rilevanti è il fuzz saturato condito da psichedelici synth che distanzia questo lavoro dalla gig principale del protagonista, e anche i detrattori dei Black Keys, della mentalità retrò di Dan Auerbach e della musica che trae ispirazione da vicende passate, dovranno riconoscere che dal punto di vista della produzione quest’uomo sa quel che fa, eccome.

Non mancano alcuni gioiellini, specialmente quando si abbassa il ritmo: Put A Flower In Your Pocket è tra le migliori cose mai fatte da Auerbach e Stay in My Corner, ispirata dall’incontro Mayweather vs Pacquiao, non è da meno. Ma in generale non c’è una singola caduta di stile o qualitativa. Non ci troviamo davanti a niente di rivoluzionario, di certo non diamo una breaking news con questa affermazione ed è chiaro che gli interpreti si siano divertiti a realizzare l’album (come, anche qui, accade spesso nei side project di gente abituata a lavorare ad alta quota). Probabilmente non convertirà un singolo oppositore al verbo di Auerbach, ma chi è già fan non resterà di certo deluso.

(2015, Nonesuch)

01 Once We Begin (Intro)
02 Outta My Mind
03 Put A Flower In Your Pocket
04 Pistol Made Of Bones
05 Everything You Do (You Do For You)
06 Stay In My Corner
07 Cold Companion
08 The Arc
09 Nature’s Child
10 Velvet Ditch
11 Chains Of Love
12 Come & Go
13 Rosie (Ooh La La)
14 Searching The Blue

IN BREVE: 4/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.