Home RECENSIONI The Dream Syndicate – Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions

The Dream Syndicate – Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions

Come suggerisce il titolo, Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions, nuova fatica dei Dream Syndicate di Steve Wynn, gioca sull’alternanza di brani energici e dall’incedere a tratti epico, e altri decisamente più minimali ed intimisti.Si parte con l’armonica introduzione di synth vecchio stampo, increspature lontane di chitarra e bassline importante sullo sfondo di Where I’ll Stand, che si snoda traincursioni psych solenni e di memoria seventies, degne della nota “Baba O’Riley” degli Who, in fondo il passo dall’illusione (“It’s only teenage wasteland”) al sogno fuori dal tempo (“This is where I’ll stand”) non è poi così lungo, oltre a classici affini dell’epoca, un tocco di Bowie (immancabile), e un pizzico “dream” di Galaxie 500.

Damian si sposta in territorio eighties, ripescando il sax, grande protagonista dello scorso capitolo “The Universe Inside” (2020), e con esso le varie influenze soft rock e pop sofisticato, tra cui i Roxy Music, a cui seguono le valide percussioni e i ritmi sostenuti dalla notturna Beyond Control. Rallenta e si diletta ancora con melodie sintetiche la più breve The Chronicles Of You, aprendo alla semi-acustica Hard To Say Goodbye, caratterizzata da effetti e passaggi orchestrali che strizzano l’occhio ai Pink Floyd di “The Dark Side Of The Moon” (1973) e “Wish You Were Here” (1975).

In Every Time You Come Around le grandi protagoniste sono le chitarre stratificate di Wynn e Jason Victor, mentre Trying To Get Over ritrova i tanto cari dinamismi jangle pop degli esordi, e pur discostandosi dall’andamento generale dell’album non stona eccessivamente. Risultano un po’ pedanti i versi iniziali di Lesson Number One, traccia tra le meno riuscite del disco, recuperando terreno con le arie jazz del sax di My Lazy Mind, per poi lanciarsi a perdifiato verso la conclusione segnata dalle tastiere anni Settanta à la Deep Purple, con tanto di accenno di chitarra ruggente in secondo piano in chiusura, di Straight Line.

Fatto tesoro delle jam sessions e delle ottime sperimentazioni condotte con l’opera precedente, i Dream Syndicate hanno scelto di ritornare alla “classica” struttura e impostazione di album a cui ci avevano abituati, aggiungendo nuovi tasselli sonori e soffermandosi maggiormente sui passaggi strumentali, ottenendo nel complesso un altro risultato di notevole livello qualitativo, pur commettendo qualche errore durante il percorso e tirando eccessivamente per le lunghe un paio di tracce.

(2022, Fire)

01 Where I’ll Stand
02 Damian
03 Beyond Control
04 The Chronicles Of You
05 Hard To Say Goodbye
06 Every Time You Come Around
07 Trying To Get Over
08 Lesson Number One
09 My Lazy Mind
10 Straight Line

IN BREVE: 3,5/5

Studentessa di ingegneria informatica, musicofila, appassionata di arte, letteratura, fotografia e tante altre (davvero troppe) cose. Parla di musica su Il Cibicida e con chiunque incontri sulla sua strada o su un regionale (più o meno) veloce.