Home RECENSIONI The National – First Two Pages Of Frankenstein

The National – First Two Pages Of Frankenstein

Chi li conosce sa che i The National, pur continuando a scrivere sad songs (for dirty lovers) nel tempo, non hanno mai sofferto di maledettismo. Anzi. Prendersi gioco di sé ha rappresentato un leitmotif della loro storia, senza per questo rinunciare alla malinconia estrinsecata ora in modo elegantemente dimesso, ora in spasmi elettrici diventati generazionali nel modo più onesto possibile: mettendosi a nudo, senza vergogna, sempre. Nel 2019, però, ampiamente annunciato da una flessione un po’ continua, arriva il non eccelso sussulto di “I Am Easy To Find” – un album che segna, inevitabilmente, un crocevia per ogni membro della band. Le possibilità di scioglimento sono concrete, più o meno tutti danno rilievo alle carriere soliste, tira una brutta aria. Otto dischi, i quaranta passati, vecchi fantasmi che si rifanno vivi. E invece eccoci, quattro primavere più tardi, a salutare una rinascita.

First Two Pages Of Frankenstein non è, chiariamolo subito, un nuovo Everest della formazione di Cincinnati – ma è un giro di boa importantissimo di rinnovata catarsi, maturata diversità, ragionato avanzamento. Anzitutto c’è Once Upon A Poolside. Bellissima, splendida; forse uno dei loro pezzi migliori. Peccato o per fortuna che stia lì, in cima, per prima: perché tutto ciò che segue non lo raggiunge. Poco male. Eucalyptus e New Order T-Shirt sono due spose perfette, un avvio al bacio con zero flessioni: dolcissimo, struggente. This Isn’t Helping ruba il giro a “Secret Meeting”, patendo l’impossibilità assoluta del confronto senza tutto sommato barcollare troppo. Segue Tropic Morning News, unico episodio leggermente accelerato insieme alla mesteriosa Grease In Your Hair. The Alcott, con la sopracitata prima traccia del lotto, rappresenta probabilmente il featuring migliore (Sufjan Stevens lì, Taylor Swift qui): musica pop alla quale si vuole bene in modo incondizionato, nel suo intreccio di voci persino un pizzico stucchevole.

Nonostante ciò, a parte l’ultima delle ospitate (Your Mind Is Not Your Friend, in compagnia di Phoebe Bridgers come in This Isn’t Helping), la coda dell’opera risulta decisamente meno illuminata della testa, scavando a fondo per ritrovare i difetti dei più vicini predecessori. Un gran peccato. Perché le coppie di fratelli Dessner/Davendorf e Matt Berninger hanno comunque, come si diceva pocanzi, battuto un colpo incisivo e compatto, ispirato e carezzevole, bilanciato e gentilmente sofferto. Uno dei primi versi recita: I’ll follow you everywhere / While you work the room”. È un sentimento comune a chi è innamorato. È un sentimento comune a chi ha fede in un legame. È un sentimento comune, anche, a chi sta dalla parte dei The National.

— 2023 | 4AD —

IN BREVE: 3,5/5