Home RECENSIONI Townes Van Zandt – Sky Blue

Townes Van Zandt – Sky Blue

Accolgo con piacere un’ennesima pubblicazione postuma, la quinta, di Townes Van Zandt, fuori il 7 Marzo, giorno in cui avrebbe compiuto 75 anni. Una sorta di celebrazione, ma non solo, del cantautore e musicista nato in Texas, dove cominciò a farsi conoscere nella scena di Houston e dove entrò in contatto con i vari Guy Clarke, Jerry Jeff Walker, Lightnin’ Hopkins, fino a acquistare una notorietà che eppure non fu mai all’altezza della sua indiscutibile bravura come scrittore di canzoni.

Figura schiva, Van Zandt fu esponente di un genere popolare negli Stati Uniti come la musica folk e quella country in particolare, ma proprio a causa delle sue particolarità e del suo carattere fu apprezzato più dalla critica che dal pubblico. Lo stile compositivo e la stessa costruzione delle canzoni, il modello d’esecuzione, erano lontani dai gusti più diffusi. Tutte caratteristiche che forse avevano anche a che fare con la sua indole malinconica, le psicosi maniaco-depressive e gli abusi di alcol e droghe che, ironia della sorte, contribuiscono oggi a regalargli più riconoscimenti che in vita, come è spesso successo a figure borderline nella storia della musica a tutti i livelli.

Tuttavia, non vale la pena lamentarsi di quelli che avrebbero dovuto essere maggiori riconoscimenti, ma considerare invece quanto sia stato positivo che Van Zandt sia diventato una figura di culto, circostanza che ha permesso una diffusione più massiccia della sua arte e che ci ha consegnato oggi la sua produzione, riferita per lo più al periodo tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta, spingendo poi a scoprire anche altro materiale di repertorio e/o comunque inedito.

Va letta in questo senso anche questa pubblicazione, Sky Blue, che riprende materiale (undici tracce) risalente al 1973 scritto da Van Zandt a quattro mani con Bill Hedgepeth: troviamo versioni alternative, a volte embrionali, di quelli che poi sono diventati classici della produzione del musicista texano, come ad esempio la Pancho & Lefty che poi fu resa immortale agli inizi degli anni Ottanta dalla celebre versione di Willie Nelson e Merle Haggard. Allo stesso tempo c’è spazio per altro materiale di repertorio, come tre cover (Forever, For Always, For Certain di Richard Dobson, Last Thing On My Mind di Tom Paxton e la tradizionale Hills Of Roane County) e due inediti (All I Need e Sky Blue).

Lo stile è quello solito: Van Zandt si svincolava dalla musica folk di Bob Dylan e attingeva dal patrimonio culturale storico del continente, rivisitando il country in una maniera che si può considerare anticipatoria sui tempi, rinnovando la tradizione di quel genere di cantautorato che oggi chiamiamo “americana”. Non spingeva verso gli eccessi, le sue composizioni non avevano un carattere dimesso ma “aperto” e connotato da sfumature psichedeliche folk prive di artifici e pose di alcun tipo.

Così è stato consegnato alla storia della musica americana, per poi essere giustamente conosciuto e riconosciuto in tutto il mondo. Queste canzoni forse aggiungeranno ben poco al peso complessivo della sua produzione già diffusa, ma ne sono in fondo un gradito e accessorio compendio che ha una sua dignità anche considerato come “unicum”.

(2019, Fat Possum / TVZ)

01 All I Need
02 Rex’s Blues
03 Hills Of Roane County
04 Sky Blue
05 Forever, For Always, For Certain
06 Blue Ridge Mtns. (Smoky Version)
07 Pancho & Lefty
08 Snake Song
09 Silver Ships Of Andilar
10 Dream Spider
11 Last Thing On My Mind

IN BREVE: 3/5

Sono nato nel 1984. Internazionalista, socialista, democratico, sostenitore dei diritti civili. Ho una particolare devozione per Anton Newcombe e i Brian Jonestown Massacre. Scrivo, ho un mio progetto musicale e prima o poi finirò qualche cosa da lasciare ai posteri. Amo la fantascienza e la storia dell'evoluzione del genere umano. Tifo Inter.