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Wire – Mind Hive

Non sono una persona che si entusiasma facilmente e non sento particolarmente la tensione quando si avvicina l’uscita di un nuovo disco di uno dei miei gruppi preferiti. Peraltro, oggi si fa pure fatica a stare dietro a tutte le uscite discografiche che si susseguono ripetutamente, gli ascolti si moltiplicano, il tempo dedicato a ogni album è sempre meno che in passato. A ogni nuovo disco, ti sembra ieri che è appena uscito il precedente.

Lo stesso processo mi ha accompagnato all’approccio al nuovo album dei Wire, questo Mind Hive cui riconosco un pregio, cioè che più lo ascolti più tutto sommato piace. Certo, sono d’accordo, non ci troviamo davanti a niente di rivoluzionario e di sorprendente: il disco non regge il confronto (impegnativo) con altri degli album migliori del gruppo (che comunque negli ultimi anni ha dimostrato di sapersi proporre con una forza che non risente affatto del passare degli anni), ma supera la prova fondamentale dell’ascolto – l’unica che conta – e vince ogni resistenza si discorsi del tipo “sono vecchi e fanno sempre le stesse cose”.

In verità, a parte il suono, i Wire hanno una loro estetica che è ben definita e portano fieramente avanti la tradizione di una cultura post punk che ha perso per strada i suoi esponenti più significativi. Estetica che nel loro caso si sviluppa secondo una dicotomia per la quale dimensioni più sotterranee non tolgono spazio a una certa sensibilità, che qui per esempio possiamo trovare in pezzi belli e forti di suggestioni in chiaroscuro wave come Shadows e soprattutto Unrepentant e Humming.

Fa da contraltare il pezzo più forte del disco, Hung, che sublima tutto la grandiosità sonora dei Wire. Altri come Cactused e Oklahoma sono quelle che si potrebbero definire come delle solide certezze, soprattutto per la spigolosità e il suono metallico delle chitarre della seconda e quel basso caratteristico wave che funziona sempre. Convince meno l’altro singolo Primed And Ready, che è oggettivamente deboluccio, mentre Off The Beach sembra una delle tante canzoni improvvisate da Pollard ma non lo è, e poi Be Like Them che si costruisce su riff quasi metal nel bridge e ha un ritornello che suona come un pezzo di David Bowie degli anni Novanta (nella specie, “What’s Really Happening”).

Voto finale: “Mind Hive” è un disco sufficiente. È chiaro che se piace un determinato sound questo disco lo si va ad ascoltare per forza, anche perché questa combinazione tra attitudini post punk e una wave mai stupida e piena di immagini colorate e allegoriche, che suona per forza di cose antiquata, questa sensibilità che si insinua nell’animo degli ascoltatori, così come i pezzi più forti con quelle chitarre che tagliano come lame, non è che si ritrovano tutti i giorni fra le band che girano in questo momento. Se poi si vuole un disco “manifesto”, francamente sarebbe chiedere troppo e se ne rimarrebbe delusi, ma è un problema di chi lo pretende.

(2020, Pinkflag)

01 Be Like Them
02 Cactused
03 Primed And Ready
04 Off The Beach
05 Unrepentant
06 Shadows
07 Oklahoma
08 Hung
09 Humming

IN BREVE: 3/5

Sono nato nel 1984. Internazionalista, socialista, democratico, sostenitore dei diritti civili. Ho una particolare devozione per Anton Newcombe e i Brian Jonestown Massacre. Scrivo, ho un mio progetto musicale e prima o poi finirò qualche cosa da lasciare ai posteri. Amo la fantascienza e la storia dell'evoluzione del genere umano. Tifo Inter.