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Dalla polvere al palco: Bruce Springsteen e il canto di un’America ferita in The Rising

Esiste una dimensione perfettamente istituzionale raggiungibile solo da certi artisti ed esclusivamente negli Stati Uniti: una combinazione di ruolo pubblico, autorità morale e rappresentanza nazionale che altrove sarebbe impensabile. In nessun altro paese, forse, una figura come Bruce Springsteen può diventare al tempo stesso voce del popolo e coscienza critica della nazione, capace di parlare a nome dell’America anche – e soprattutto – quando si oppone apertamente a una parte di essa, come nel caso delle recenti frizioni con Donald Trump. Difficile non conoscere il background ufficiale di The Rising, le ore che seguirono la caduta dei due aerei sulle Twin Towers, la “Dust Lady” e “The Falling Man” e l’uomo che fermò Springsteen fuori da un parcheggio urlando “l’America ha bisogno di te”.

“The Rising” fu uno degli album simbolo dell’11 Settembre e va da sé che ovviamente avesse tutte le carte in regola per diventarlo. Nessuno meglio di Springsteen sarebbe riuscito a creare un climax di dolore, amore, speranza, unione senza scadere nel più becero spirito patriottico. Il tutto condito con più di un’ora di musica assolutamente godibile. “The Rising” è vincente sin dal titolo: ri-nascere, ri-tornare alla vita, ri-fiorire per gli Stati Uniti del 2001 non è più la fantascienza di “Attacco al Potere” ma un istinto naturale, la necessità di affrancarsi dalla paura di una variabile impazzita e fuori controllo. Seppur con le dovute differenze, tanti anni dopo tutto il mondo si ritroverà a provare sensazioni analoghe ma quella, si sa, è un’altra storia.

Nel 2002 Bruce Springsteen è già un ottimo manager di se stesso e per quanto realmente scosso da una tragedia dalle proporzioni immani gioca una volta per tutte la sua mano migliore, sicuro di portare a casa il piatto. Una scala reale composta da una cinquina di cuori: un Re, i testi, un mix perfetto di onore, memoria e cordoglio; una Regina, la melodia (coadiuvata dal produttore Brendan O’Brien) che gli riesce meglio, muscolosa, magniloquente, a volume altissimo, sulla falsa riga di “Born In The USA” ma più matura, Nothing Man meravigliosamente riflessiva, rabbiosa Further On (Up The Road), travolgente Lonesome Day; un asso, la E Street Band: “The Rising” è il primo album della formazione quasi al completo da diciotto anni; un fante, l’umanità: Sprimgsteen ha sempre raccontato se stesso attraverso alter ego creati ad hoc per i suoi testi, ma i protagonisti di “The Rising” sono più concreti dello Scooter di “Born To Run” o del Bobby Jean di “Born In The USA”; non sono ragazzini che scorazzano per le strade del New Jersey, ma vigili del fuoco che perdono la vita risalendo le scale delle torri (Into The Fire), mariti, mogli, fratelli e sorelle scomparsi (You’re Missing); infine, l’ultima carta: il coinvolgimento del pubblico: delle quindici tracce che lo compongono saranno ben due a diventare iconiche, soprattutto durante i suoi live: la title track (vero inno da stadio e vincitrice di un grammy per il miglior pezzo rock nel 2003) e Waiting On A Sunny Day cantata insieme a un bambino preso dalle prime file, che si trasforma furbescamente nell’ennesima condivisione tra Springsteen e il suo pubblico, diventando insieme a “Dancing In The Dark” l’ennesimo momento riservato unicamente allo spettatore.

“The Rising” è un disco buono ma molto furbo, in accezione non necessariamente negativa. Un primo album in sette anni, il lasso di tempo più lungo della carriera di Springsteen, non poteva e non doveva fallire. Testimone ultimo di un colpo da maestro, andato inevitabilmente a segno è infine la totale assenza di rischio nella veicolazione del messaggio. Springsteen sa bene che impatto possa avere, a quel punto della sua discografia, un fraintendimento come quello di “Born In The USA”, o le polemiche scaturite da “American Skin (41 Shots)” e non ha alcuna voglia di restare impigliato in sterili provocazioni. I testi di “The Rising” sono ripetitivi, i messaggi veicolati sono più che cristallini, la scrittura molto più semplice e spicciola rispetto al passato. Alcuni episodi, come Words ApartMary’s PlaceLet’s Be Friend, sono paternalistici e musicalmente dimenticabili. Ma non importa. Dentro “The Rising” non c’è spazio per l’interpretazione, il che lo rende un disco perfetto per un’America che nel 2001 cerca tutto fuorché ambiguità. Reunion, resurrezione, rinascita: “The Rising” rappresenta a tutt’oggi la scala reale con cui Springsteen si aggiudicherà la sua immortalità.

Lejla Cassia
Catanese, studi apparentemente molto poco creativi (la Giurisprudenza in realtà dà molto spazio alla fantasia e all'invenzione). Musicopatica per passione, purtroppo non ha ereditato l'eleganza sonora del fratello musicista; in compenso pianifica scelte di vita indossando gli auricolari.