Home INTERVISTE Baustelle: «In Amen c’è pure il fischio di Morricone»

Baustelle: «In Amen c’è pure il fischio di Morricone»

Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, Francesco Bianconi è lo chansonnier un po’ noir, dai tratti vintage (non ha mai nascosto la sua passione per Gainsbourg), di quei Baustelle, però, lucidissimi ed attualissimi interpreti dell’Italia d’oggi. Loro, toscani di Montepulciano, ma vagabondi in una Milano cinicamente romantica, scrivono canzoni che al pastiche sonoro, un po’ punk, un po’ electro, un po’ pop, uniscono un pugno di storie tragiche, senza speranza, tra cronaca nera e sociologia televisiva. “La Malavita” (2005) era stato il loro zenit espressivo, oggi tornano con “Amen”…

Francesco, nella recensione de Il Cibicida “Amen” viene presentato con l’immagine del Corvo Joe che svolazza da “La Malavita” ad “Amen” stringendo tra le zampe, le tematiche di dolore, emarginazione e decadenza…
Beh sì, mi convince abbastanza. Nel senso che “Amen” – come già “La Malavita” – è un disco che parla di un certo tipo di società, la nostra. E quindi quello del Corvo Joe è un volo su un mondo occidentale e sulle sue facce molto bizzarre e negative.

I dischi dei Baustelle sono sempre popolati da vittime: Anna, Charlie, i barboni alla stazione di Milano, il piccolo Alfredino Rampi. Ognuno porta la sua strana croce. E’ un pessimismo irriducibile, il tuo?
No, al contrario, io sono uno che, tutto sommato, si definisce ottimista. O meglio, uno che si sforza di esserlo, ma che trova molti due di picche dalla constatazione della realtà. Sono uno che lotta, costantemente anche a livello esistenziale. Mi spremo per ricercare il senso dell’uomo e della vita. Mi sforzo di interpretare il significato della mia esistenza, ma da non credente faccio molta fatica. Non è pessimismo a-priori però.

Baustelle ed i film agrodolci degli anni ’60. Paragone calzante?
Credo che quei film siano stati una fenomenale maniera popolare di parlare del potere e del mondo. Da buon “cinemaniaco” quale sono mi piace molto la commedia italiana degli anni ’50-’60 e, se vogliamo davvero fare il gioco dei paragoni, penso che i Baustelle abbiano qualche sguardo simile a “I Vitelloni” o a “La Dolce Vita”, film con tratti di comicità grottesca, sì agrodolce, ma anche cattiva.

Hai un passato da giornalista. La tua scrittura ne è stata influenzata?
Beh si, nel senso che l’ha aiutata. Ora ho il tesserino ma non ho più il tempo per praticare. Credo che il giornalismo sia un mestiere che ti insegna ad osservare la realtà e a raccontare i fatti. Il giornalismo, come dovrebbe essere, è attenersi ai fatti, anche se nessuno lo fa più. Una volta c’era un titolo di Panorama degli anni ’60 che recitava “I fatti non le opinioni”. Beh, scrivere parole per le canzoni ed in generale fare letteratura è altra cosa. Diciamo che ha a che vedere più con le opinioni. Però posso dire che, dal punto di vista della spigliatezza, scrivere liriche avendo alle spalle un apprendistato da giornalista, può agevolare.

Tra i testi di “Amen” anche la tragedia di Alfredino caduto in un pozzo artesiano. La tv iniziò a farsi ficcanaso. L’occhio in copertina è quello del Grande Fratello?
In realtà non avevo pensato a questa possibile interpretazione dell’occhio (ride, ndr). No, la copertina non è strettamente legata a quel concetto. Per il resto l’hai detto tu, il dramma del piccolo Alfredo Rampi fu l’inizio di un certo tipo di brutta televisione, negli anni divenuta poi modello della drammatizzazione e spettacolarizzazione del dolore.

Dal punto di vista musicale ci sono tanti suoni nuovi: dai fiati all’elettronica dance, dal funky alla bossanova…
Si, devo dire che il disco era tutto già arrangiato grazie alle nuove diavolerie dei computer. Era già nei minimi dettagli nel mio pc. Tutto gia cosi, con le sue influenze strane, con le parti d’orchestra, le elettroniche. Così quando siamo entrati in studio l’unica cosa che ci siamo detti è stata: bene ora è il momento di suonarlo tutto dal vivo.

E lì è entrato in scena, tra gli altri, il maestro Alessandroni, meglio conosciuto come il “fischio” di Morricone…
Esatto. E’ stato molto carino ad accettare di suonare qualche strumento per noi. Avevo già provato a farlo collaborare con noi per “La Malavita”. Me lo presentò un nostro amico batterista che conoscendo la mia passione per le colonne sonore, per il western e per Morricone ed essendo di Viterbo come il maestro, ci diede il suo contatto. Oggi eccolo in “Amen”.

* Foto d’archivio

A cura di Riccardo Marra