“Nevermind” non aveva sconvolto soltanto la vita di Kurt Cobain, Krist Novoselic e Dave Grohl, rendendoli primi tra i primi in quel 1991. “Nevermind” aveva totalmente sovvertito la storia del rock e la percezione di ciò la si ebbe chiara già allora. Ma “Nevermind” era anche il disco che Kurt Cobain non avrebbe mai voluto fare, quantomeno non come venne dato alle stampe: troppo patinato, troppo levigato, troppo pulito, troppo in antitesi con quello che i Nirvana erano ed erano sempre voluti essere, fondamentalmente dei punk. “Bleach”, l’esordio del 1989, li rappresentava certamente di più, Cobain lo sapeva bene e fremeva dalla voglia di ritornare a quel lerciume, di distaccarsi dalla produzione glitterata di Butch Vig e dalla smania di scalare le classifiche. Voleva, in poche parole, riabilitarsi ai suoi stessi occhi, espiare un peccato che si auto-imputava, neanche avesse venduto l’anima al diavolo per avere tutto ciò che stava avendo.
Il primo passo fu dunque quello di affidarsi a un nuovo produttore e chi meglio di Steve Albini, l’ingegnere del rumore, avrebbe potuto imprimere su disco ciò che i Nirvana erano davvero? In Utero è così un disco malato, non solo per i numerosi e continui riferimenti medici, ma soprattutto perché Cobain aveva già maturato da un pezzo la consapevolezza che quel mondo di cui era diventato portavoce era troppo pesante da portare sul groppone, tanto che la sua originaria volontà era di intitolare il disco “I Hate Myself And I Want To Die”. Albini chiude i tre in studio per due settimane di fila, in un freddo Febbraio del Minnesota, senza distrazioni o interferenze dall’esterno: il risultato è l’essenza stessa dei Nirvana.
La rabbia è una coltre spessissima, la disperazione urlata da Cobain lacera le sue corde vocali e l’anima di chi l’ascolta (Scentless Apprentice), l’amore malato con Courtney Love sempre lì sullo sfondo (Heart-Shaped Box), la vendetta come estremo tentativo di riprendersi la propria vita (Rape Me, Francis Farmer Will Have Her Revenge On Seattle), la droga perennemente al suo fianco (Dumb), la morte indotta come palliativo (Pennyroyal Tea). “In Utero” assolve appieno ai compiti assegnatigli: riporta i Nirvana là dove Cobain voleva stessero, nel fango, nella sporcizia di una vita malsana; ma, soprattutto, chiude due cerchi concentrici, quello del grunge, che di lì a poco avrebbe visto spezzarsi per sempre il sogno di un’intera generazione, e quello di una rockstar irrimediabilmente frustrata dal contemporaneo amore e odio per la sua stessa natura.
DATA D’USCITA: 21 Settembre 1993
ETICHETTA: Geffen