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Algiers – Shook

Come se il presente fosse una sala stracolma e Shook ci piombasse in mezzo in un giorno di inverno. È questa l’immagine che vi offriamo per il nuovo disco degli Algiers. Un album che si inserisce nel momento preciso, nell’attimo in cui si parla, nel cerchio dipinto che segna il senso del mondo, la sua fase storica, la patina frastagliata del contemporaneo, il caos dell’oggi. In una parola: politica. Tutto è politica. Noi, tutti, ogni cosa, questa pagina Word che si riempie, queste orecchie che si protendono. Certi dischi che segnano il tempo.

La band di Atlanta, dopo aver pubblicato nel 2020 “There Is No Year”, andato a insabbiarsi nelle secche della pandemia, torna con un fiume di parole in sospeso, e una tracklist di addirittura diciassette tracce con almeno una dozzina di featuring. “Shook” è un baccano di frasi, fraseggi, field recordings, pulsazioni, rap, soul, jazz, spoken word, Frankling James Fisher, con la sua voce cachemire e poi spirituale e poi feroce, narratore di un secolo di ridicoli messia.

Mare nero con turbine sopra e vortice sotto, questo è un disco da ascoltare in cuffia come in quei tempi in cui un pezzo come Out Of Style Tragedy avrebbe potuto cambiarti per sempre la vita in soli 3 minuti e 12 secondi o uno alla A Good Man farti balzare in piedi come solo i Fugazi. Per non parlare di Green Iris che prende il gospel e lo tramuta in una antenna in balia di un temporale: l’elettricità che prima si manifesta spettacolare, man mano si spegne gradualmente con certi fiocchi aeriformi e un pianoforte-metafora di certa pioggia che si ferma a mezz’aria senza toccare terra che è, ancora una volta, il senso della politica.

Anche Momentary galleggia gassosa tra un soul degli anni Settanta e le luci emicraniche di cellulari sempre connessi, quindi si fa più addomesticata ma è solo un bluff. E poi c’è Irreversible Damage che è un caso a parte. Un pezzo epocale. Un pezzo di quest’epoca. Come se un oggetto non identificato piombasse in mezzo a una sala e volesse raccontare il presente. Una bolgia elettronica apre il tetto, il fumo che sale, la polvere. “Time is over” è il refrain, una scazzottata di occhi pesti e labbra crepate. Quindi l’arrivo di Zack De La Rocha con la sua voce cattiva che ferma il boato ma solo per pochi secondi: “Lucchetti / Pantaloni e calzini / Un posto dove lavare via questo dolore / Lo specchio si spezza in faccia / E ho visto abbastanza”.

Zack e gli Algiers. Vestiti da proiettili umani, oggi, oggi e solo oggi, per l’oggi.

— 2023 | Matador —

IN BREVE: 4/5