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Anna Von Hausswolff – Dead Magic

Se Michael Gira ti vuole con sé per aprire i concerti dei suoi Swans, è certo che dentro non devi avere sangue, ossa e forse neanche un’anima: dentro hai un’apocalisse che lui ha colto perché affine alla sua, a prescindere dalla forma con cui poi essa viene esternata. E poi, la tua non dev’essere affatto musica, piuttosto grida a metà strada tra il dolore più profondo e l’estasi più alta, come quelle che ci infligge da oltre trent’anni il guru degli Swans.

Ecco, la svedese Anna Von Hausswolff è stata personalmente scelta dal fondatore della Young God Records per fungere da viatico alle deflagrazioni live degli Swans, così le certezze di cui sopra dobbiamo ritenerle per lei già assodate. Un riconoscimento, quello di Gira, che però è stato solo il suggellamento di un percorso di crescita che ha condotto la Von Hausswolff fino a questo Dead Magic, suo quarto lavoro sulla lunga distanza, secondo sotto l’egida della City Slang.

Un percorso, quello di Anna, fatto di progressiva consapevolezza nei propri mezzi (in primis riguardo la voce, di cui la svedese sembra poco a poco aver scoperto le innumerevoli potenzialità) e di una continua ricerca sonora che l’ha portata a destrutturare sempre più le proprie certezze, lanciandosi in ambiziosi salti nel buio – ogni metafora è in questo caso valida – che ne hanno fatto a tutti gli effetti la Regina delle Tenebre in coabitazione con la collega Chelsea Wolfe.

L’organo, che da sempre l’accompagna e che inevitabilmente contribuisce al respiro classico delle sue composizioni, è anche in “Dead Magic” il protagonista indiscusso, fin dall’iniziale The Truth, The Glow, The Fall: le canne di questo strumento così legato alla tradizione percorrono i dodici minuti del pezzo da cima a fondo, un fil rouge che lega i delicati archi della prima porzione al folk gotico della parte centrale, fino al drone del finale.

Un campionario di atmosfere e registri che la dice lunga sul totale abbandono all’istinto operato da Von Hausswolff in quella chiesa di Copenhagen in cui ha registrato l’album insieme a Randall Dunn dei Sunn O))). Le percussioni ancestrali di The Mysterious Vanishing Of Electra fanno il paio con la performance vocale di Anna che urla, gracchia e ride mefistofelica, investendo il brano con un soffio oscuro e funereo.

Al centro del disco i sedici minuti di Ugly And Vengeful: rintocchi gelidi, un anelito lontano che s’avvicina sempre più e che esplode in una terrificante e cinematica psichedelia, cui fa da perfetta decompressione la strumentale The Marble Eye, interamente imperniata sull’organo. Il finale è tutto per le radici, per quelle tradizioni nordiche in sospeso tra sacro e profano, con la glaciale favola Källans Återuppståndelse in cui l’organo è ancora in evidenza ma qui con funzione decompressiva e anestetizzante.

C’è piglio doom e un po’ di Nico in questo “Dead Magic”, influenze dark e una buona dose di Dead Can Dance, sperimentalismi spettrali e un tocco di Kate Bush. C’è, soprattutto, la limpida testimonianza di un talento cristallino che è definitivamente esploso, non lasciando intravedere limiti apponibili alle sue possibili evoluzioni.

(2018, City Slang)

01 The Truth, The Glow, The Fall
02 The Mysterious Vanishing Of Electra
03 Ugly And Vengeful
04 The Marble Eye
05 Källans Återuppståndelse

IN BREVE: 4,5/5