Home RECENSIONI Biffy Clyro – The Myth Of The Happily Ever After

Biffy Clyro – The Myth Of The Happily Ever After

L’annuncio diffuso un paio di mesi fa dell’inaspettato ritorno della band di Simon Neil aveva lasciato tutti sorpresi: a un anno dalla pubblicazione di “A Celebration Of Endings” (2020) con cui i Biffy Clyro avevano scelto di aprirsi ad un più ampio ventaglio di sonorità elettroniche, accontentando tuttavia a metà (o in qualche caso per niente) il pubblico, non era chiaro se la loro fosse ormai da considerare una spirale discendente senza possibilità di ritorno. La resa finale di The Myth Of The Happily Ever After, prosieguo ideale dell’ottavo album, sembra iniziare a fornire qualche risposta concreta in merito al futuro del terzetto.

La voce campionata di Neil e le atmosfere ovattate di DumDum aprono la strada allo sfogo radio friendly A Hunger In Your Haunt, a cui segue la storia di abusi nascosta dietro i ritmi macinati dalla batteria di Denier, mentre i synth in primissimo piano di Separate Missions accompagnano dei rimandi testuali a “The Pink Limit”, traccia contenuta nell’album precedente. I culti pericolosi sono il tema centrale di Witch’s Cup, mentre il testo della semi acustica Holy Water, una sorta di “Space” 2.0 in crescendo e senza archi, ruota intorno al cambiamento climatico e alla pandemia.

Si susseguono l’ulteriore critica alla società messa in campo da Errors In The History Of God, l’incoraggiante Haru Urara, storia di un iconico cavallo giapponese, nonché uno dei nomi possibili tra i quali il trio scozzese scelse il suo alla fine degli anni Novanta; fino ad arrivare ad uno dei brani di spicco del disco, Unknown Male 01, caratterizzato da numerose variazioni tra melodia e toni loud, dove a farla da padroni sono i gemelli Johnston, per poi entrare nel rush finale segnato dalle tastiere di Existed.

“Life is a sad song we only hear once / Please give it all that you’ve got beforе the rhythm stops” recita il ritornello della conclusiva Slurpy Slurpy Sleep Sleep, il cui titolo appare come una variante della robotica routine “eat, sleep, work, repeat”, ovvero le azioni che soprattutto in tempo di lockdown abbiamo ripetuto senza la minima possibilità di variazione: un chiaro invito a non dare mai nulla per scontato e ad impiegare il proprio tempo al meglio, senza sprecarne.

Più solido e coerente rispetto al suo predecessore e “album gemello” dal punto di vista delle sonorità e degli argomenti trattati, “The Myth Of The Happily Ever After” presenta un unico neo relativo ad una maggiore definizione identitaria del sound che ancora si fatica a percepire, ma si fa comunque ascoltare (e riascoltare) volentieri, dimostrandosi un buon tentativo di risalire la china e portare a compimento il cambiamento intrapreso dalla band, consegnandole qualche risultato soddisfacente in più.

(2021, Warner / 14th Floor)

01 DumDum
02 A Hunger In Your Haunt
03 Denier
04 Separate Missions
05 Witch’s Cup
06 Holy Water
07 Errors In The History Of God
08 Haru Urara
09 Unknown Male 01
10 Existed
11 Slurpy Slurpy Sleep Sleep

IN BREVE: 3,5/5

Studentessa di ingegneria informatica, musicofila, appassionata di arte, letteratura, fotografia e tante altre (davvero troppe) cose. Parla di musica su Il Cibicida e con chiunque incontri sulla sua strada o su un regionale (più o meno) veloce.