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Depeche Mode – Memento Mori

La sala d’attesa puzza di detersivo e alcol. A sera hanno smorzato le luci, ma il Cedars Sinai Hospital resta una gigantesca astronave del dolore. In una delle quarantadue sale operatorie è morto Dave Gahan, stroncato all’età di trentaquattro anni da una overdose di speedball. Fuori c’è l’insensibile Los Angeles e il 28 Maggio del 1996. È la seconda volta che Gahan muore. La prima l’anno precedente, nell’agosto nel ‘95: l’uomo longilineo che è, trovato riverso con le vene dei polsi sminuzzate e intorno bottiglie di vino e una boccetta di valium svuotata. Anche Martin Gore è morto molte volte – tante per ognuna delle stanze d’albergo del Violation Tour del 1990 – fatto fuori dalle scorte di whisky e da quella voglia erotica di farsi del male. E pure Andy Fletcher è all’ennesimo decesso. Prima della dissezione aortica che se l’è portato via nel 2022, era già stato ammazzato a metà degli anni Novanta da una depressione violentissima.

La morte, insomma, fonda il senso dei Depeche Mode, né è compagna, ne consegna il paradosso. E con essa il suo suono: l’elettronica proverbiale che è luminosissima e nera, suadente e terrificante, da ballare in doppiopetto o con un paio di jeans in brandelli. Dunque Memento Mori (dal latino “ricordati che devi morire”), è solo l’ultimo dei tasselli di questa lunghissima vicenda di morte e fluttuare di spettri. Perché Dave Gahan, Martin Gore e Fletch sono quarant’anni che danzano come fantasmi, ma solo di uno il destino ha deciso che doveva scomparire anche in via ufficiale. Andy Fletcher è morto che il disco era già stato impostato e ideato, c’è molto di lui là dentro. C’è innanzitutto una band, perché forse solo “grazie” alla sua dipartita Martin e Dave stanno ancora insieme, spesso divisi da un disprezzo viscerale. Ma prima c’era stato il covid, c’erano stati i sessant’anni compiuti da tutti e tre e una fase esistenziale da resa dei conti (l’ennesima).

Ecco i Depeche Mode di “Memento Mori”, “rimasti in due”, recita così il messaggio di Alan Wilder all’indomani della morte di Fletch, come a dire: ora tocca a voi, guardatevi negli occhi. La risposta è un disco che, al contrario, si circonda di molte collaborazioni come quando, nel mondo anglosassone, ai funerali si mangia e si beve e si festeggia. C’è Richard Butler (Psychedelic Furs) a scrivere i testi con Gore, ci sono almeno un pugno di musicisti aggiuntivi oltre a una squadra fortissima alla produzione del suono. Un suono che è cupo, inconsolabile, una specie di passaggio a livello esistenziale su strade al buio.

L’industrial di My Cosmos Is Mine e il pop di Ghosts Again sono la sintesi perfetta del disco, i due singoli di lancio sono il nero e il luccicante che non si contraddicono e che anzi si scambiano di ruolo quando meno te l’aspetti. Che poi è il vero mistero del sound irreplicabile dei Depeche Mode, quella sensazione intangibile di festa e delirio. “Memento Mori” ti rimane appiccicato addosso in tutta la sua splendente tragedia, vedi la ballata melanconica Don’t Say You Love Me, con quel testo gigantesco: “Sarai tu l’assassino / Sarò io il cadavere / Sarai la risata / E io sarò la battuta finale, ovviamente”, che è una scena in 35 millimetri ma senza immagini. Oppure Wagging Tongue, pezzo scritto a quattro mani da Gore-Gahan, tributo alla memoria di Mark Lanegan (“un altro angelo che muore”).

C’è spazio anche per il déjà vu perché titoli come People Are Good e Never Let Me Go (nonché il taglio elettronico decadente) non possono non fare pensare a illustri predecessori come “People Are People” e “Never Let Me Down Again”, storie di rapporti tra esseri umani, che riguardi l’amore o la politica poco importa. E la sensazione è che “Memento Mori” sia un disco che non finisce con la sua fine. Ci sono troppi suoni che restano in ballo, c’è il blues elettronico, c’è il soul, ci sono testi che ritornano circolari, ci sono storie che tormentano la testa dell’ascoltatore. Sono suoni, insistenti, che provengono dall’appartamento anche quando il disco è finito. Sono fantasmi che restano per dire la propria fottendosene della morte. Fantasmi, ancora loro.

— 2023 | Columbia/Sony —

IN BREVE: 4,5/5