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Geese – Getting Killed

No, i Geese non arrivano dal nulla. Non proviamo nemmeno a pensarla, questa minchiata. Sono all’attivo dal 2018. Sono addirittura al loro quarto album. E che fossero bravi veri si era ampiamente capito con “3D Country” del 2023 ma soprattutto, forse, con l’opera solista del cantante Cameron Winter, che l’anno scorso aveva lasciato tutti abbastanza sul chi va là col suo “Heavy Metal”. Dunque: no, i Geese non arrivano dal nulla.

E sì: sono la band di cui avevamo bisogno. Quella che ci costringe, tra le altre cose, a fare i conti anche musicalmente, seriamente, con la Gen Z. Forse la prima generazione da temere da un po’ di tempo a questa parte. Una generazione cresciuta guardando i fratelli maggiori barcamenarsi tra le macerie delle macerie lasciate dai disastri precedenti. Che ha detto: no, io quella vita non la faccio. Che ha cercato – che cerca – diciamo non di non essere schiava di nulla ma quantomeno di trovare una schiavitù differente, rispetto al passato. Una generazione che risponde agli adulti, che mostra rispetto solo se lo riceve. Che in risposta al deficit d’attenzione e alla bulimia emotiva ha fatto tornare cool il sentimento. Che non beve alcol. Che preferisce la ketamina alla cocaina. Che spara. Chiedete a Luigi Mangione e Tyler Robertson, se spara. O chiedetelo, se volete, alla pistola sulla copertina di Getting Killed.

La direzione del quartetto newyorkese è semplice. Fare la cosa più difficile da fare se sei nuovo: attingere dal vecchio per suonare (di) nuovo. E così i nostri eroi si affidano a veri numi tutelari: Velvet Underground, Nick Cave, Can, Beach Boys, Talking Heads. Hanno studiato bene. Ci aggiungono, per loro stesso dire, un sacco di divertimento: arrivano in sala senza paura di improvvisare e si lasciano guidare dall’istinto, un approccio – come dicevamo prima – non certo inedito ma non troppo cavalcato di recente. E così dal refrain gridato di Trinidad si passa al guitar pop di Cobra, dall’art blues di Husbands si vola verso una title track che non avrebbe sfigurato su “Hail To The Thief” dei Radiohead.

Winter-Bassin-Green-DiGesu maneggiano gli strumenti con una sapienza invidiabile, gestendo tutte le velocità con una classe da veterani. Se quando decelerano, infatti, i risultati sono pezzi come Half Real e Au Pays Du Cocaine – quando tornano in ritmo sfornano mine come Bow Down e (soprattutto) Taxes. Un inno assoluto che arriva a precedere Long Island City Here I Come e la sua progressione finale in free jazz. Con una simile varietà di fieno in casina – e con una simile, apparente semplicità di gestione della materia – si rafforza ancora di più l’incipit secondo il quale: no, i Geese non arrivano dal nulla. Non proviamo nemmeno a pensarla, questa minchiata. E sono destinati a prendersi tutto. Ci si augura, questa volta, che non sia necessario sparare.

2025 | Partisan/PIAS

IN BREVE: 4/5