
Crescere insieme alla propria arte, diventare adulti mentre la si fa e con tutte le difficoltà annesse, è un onore e un onere che pochi artisti hanno avuto e che ancora meno hanno saputo affrontare nel modo giusto. Lorde a sedici anni era già sulla bocca di tutti, catapultata appena adolescente in un mondo fatto di classifiche, concerti, interviste, responsabilità e aspettative, una marea di aspettative. Sue in primis, ché non dev’essere affatto facile barcamenarsi tra le pieghe del successo e nello specifico di un successo arrivato precocemente. Nuova regina del pop, nuova voce di una generazione, gliene hanno dette e affibbiate di tutti i colori e lei quei colori li ha cavalcati, prima con “Pure Heroine” (2013) e poi con “Melodrama” (2017), cercando però di rimanere sempre fedele a se stessa e alla sua concezione di sincerità applicata alla musica. Niente frasi a effetto per compiacere qualcuno a lei vicino o peggio ancora il suo pubblico, solo la sua vita, le sue difficoltà, le sue esperienze messe a disposizione di chi l’ha voluta ascoltare.
Poi è arrivato “Solar Power” (2021) e anche un po’ di evidente stanchezza: il pop sintetico che per larghi tratti si ritrae in favore dell’acustica, non si balla più con la Lorde di “Solar Power”, è stufa di quella roba, ha bisogno di riconcentrarsi su se stessa mentre il mondo le chiede un altro “Melodrama”. Il silenzio seguente l’ha vista affrontare gli spettri del successo, alcune problematiche di salute, una relazione finita male e ancora la richiesta (da più parti) di un ritorno a quell’electropop che l’aveva resa Lorde prima che Ella Yelich-O’Connor (il suo nome di battesimo). Passati i soliti quattro anni tra un disco e l’altro, rieccola dunque con Virgin, il suo quarto lavoro in studio che inevitabilmente rischia di essere il più maturo fino a questo momento.
Ha accontentato le richieste di cui sopra, di chi le chiedeva un ritorno ai suoni sintetici? Solo in parte. Sicuramente in “Virgin” l’impianto folk di “Solar Power” non trova affatto spazio, ma non siamo neanche al cospetto del pop ballabile e spesso danzereccio di “Melodrama”. Alla produzione non c’è più − ed è questa una novità a dir poco rilevante − Jack Antonoff ma altri pezzi grossi (magari non grossi come Antonoff) come Jim-E Stack, Dan Nigro e Buddy Ross, che insieme a Lorde mettono in piedi un disco fatto di un’elettronica decisamente più minimale rispetto a “Melodrama”, un lavoro per sottrazione anche nel singolo What Way That che accelera un po’ i ritmi (l’altro momento in cui ciò accade è Broken Glass), per non parlare di Man Of The Year dove la voce di Lorde s’insinua in una flebile base ambientale che cresce poco a poco o Clearblue in cui è effettata à la Imogen Heap. Quindi elettronica, sì, ma non esattamente nel modo in cui Lorde l’aveva usata in precedenza, perché non ripetersi è il primo passo per il cambiamento.
Messa da parte la musica, cosa ci racconta Lorde in questo suo quarto lavoro in studio? Ancora se stessa ovviamente, con un focus ben centrato sulla ventottenne che è diventata e sul percorso tortuoso che l’ha portata a essere ciò che è oggi, umanamente e artisticamente. Si mette a nudo e anche oltre Lorde, a partire dalla copertina del disco, una radiografia del suo bacino dove tra una cerniera e la fibbia di una cintura s’intravede anche una spirale anticoncezionale. E non è un caso, perché il sesso, la sessualità, l’idea di una gravidanza e la genitorialità sono qui centrali: nell’iniziale Hammer tocca una tematica come l’identità di genere, il suo ruolo nelle relazioni in Shapeshifter, il rapporto con una madre ingombrante in Favourite Daughter, una nuova storia d’amore che fa capolino in Current Affairs, i test di gravidanza per il rischio di un concepimento inatteso in Clearblue. E poi ancora i disturbi alimentari che l’hanno afflitta e che vengono esorcizzati in Broken Glass, non esattamente l’ultima delle questioni che hanno attanagliato l’artista neozelandese.
Ancora una volta Lorde non ha usato mezze misure, mettendosi in gioco al 100% a costo di rimetterci personalmente con una sovraesposizione che bisogna avere le spalle davvero larghe per riuscire a reggerla. In passato Ella ce l’ha fatta, con fatica ma c’è riuscita. Adesso che non è più una ragazzina, che sembra aver preso una nuova consapevolezza di se stessa, dei suoi traumi e di ciò che vuole o non vuole che la accompagni nel suo percorso, tanto nella vita privata quanto in quella pubblica, tutto ciò dovrebbe riuscirle ancora più semplice e lineare. Glielo auguriamo davvero, perché ogni rinascita − come Lorde stessa ha definito questo disco e questa sua nuova fase − non può che avere risvolti positivi.
2025 | Universal
IN BREVE: 4/5