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Slift – Ilion

In genere quando nel profondo Nord-Ovest degli Stati Uniti mettono gli occhi su una band, quella band di lì a poco è destinata a vivere alcuni tra i migliori momenti della propria produzione artistica. Neanche a dirlo, stiamo parlando ovviamente di Seattle e ancora più ovviamente della Sub Pop, che stavolta ha messo sotto contratto i francesi Slift per dare alle stampe quello che è il loro terzo lavoro sulla lunga distanza. La formazione di base a Tolosa, composta dai fratelli Jean e Rémi Fossat e Canek Flores, ha portato le proprie contaminazioni psych-kraut-stoner ad un livello successivo, un’evoluzione che gli consente così di esordire in maniera a dir poco esplosiva sulla nuova etichetta. Rispetto al già ottimo “Ummon”, il loro precedente lavoro in studio pubblicato nel 2020, Ilion tiene ben salde le fondamenta su cui i Fossat hanno costruito la band, ma aggiunge ad esse una cospicua dose di elucubrazioni post metal, che danno così corpo e prospettiva al proseguimento della loro avventura sonora.

Gli undici devastanti minuti della title track, che apre anche il disco, segnano quello che sarà l’incedere dei successivi ottanta minuti, tra ritmiche deflagranti, basso granitico e chitarre sempre spinte al massimo. Gli accenni doom/sludge di Nimh che portano gli Slift all’estremo delle loro personali visioni metal, l’elegia cosmica di The Words That Have Never Been Heard che si dipana su ispirazioni progressive, le marcate divagazioni post rock di Confluence, l’incedere definitivo e senza ritorno di Weavers’ Weft, squarciata com’è da urla da fine del mondo, dipingono un quadro di assoluto annientamento. Che passa anche dalle lyrics, oscure e impenetrabili, in perfetto pendant con le tonalità delle soluzioni strumentali. E poi i suoni ancestrali di Uruk, i bagliori lontani dell’annichilente The Story That Has Never Been Told e i fumi industriali che avvolgono la mefistofelica Enter The Loop in chiusura.

Vicini in parte ai primi Mastodon, in parte a dei Motorpsycho meno in fissa con il perfezionismo e in parte a certi sviluppi dei Baroness e degli Ufomammut, in una dimensione sempre rarefatta e dannatamente heavy (nel senso letterale di “pesante”) che li proietta costantemente al di là del tempo, dello spazio e dello stesso pianeta Terra, gli Slift di “Ilion” si impongono anche con una certa facilità in quel panorama fuori dai generi e dagli schemi in cui si muovono i più grandi fra coloro che hanno la propria cifra stilistica nell’estremo in senso lato. E, ancora una volta, la Sub Pop ha fatto centro accaparrandosene i servigi discografici e dandogli il risalto che − basandoci su quanto abbiamo avuto modo di sentire fino ad ora − meritano. Eccome se lo meritano.

2024 | Sub Pop

IN BREVE: 4/5