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Sonic Youth – The Eternal

Vallo a scalfire il muro dei Sonic Youth. Canzoni come opere indistruttibili: né agenti atmosferici, né usura del tempo, né smog di modernità possono buttarle giù. Architetture spigolose con colonne di pietra durissima. Avete presente l’eternità degli anfiteatri romani? Pensate a opere simili, grandiose, fiere, con molti anni alle spalle ma sempre all’in piedi, titaniche. Eterne, appunto. Esattamente come la musica di questo gruppo di ex giovani sonici che ormai sono adulti sonici con due palle così. Eterni come il titolo dell’ultimo disco The Eternal, alle stampe in questo giugno 2009. Mura di chitarre marmoree erette da Thurston Moore e Lee Ranaldo più impasto d’argilla di Mark Ibold, già basso dei Pavement, al debutto con la band. Senza un passo indietro, senza una seppur minima ruga o capello canuto a far paura ai nostri. Un pezzo come Anti-Orgasm, ad esempio, è New York della fine degli anni ’80: lunga intro noise, cantato sgualcito di Thurston schiaffeggiato da quello di Kim Gordon e robotico nella simulazione del godimento. Immagini della gioventù sonica che spacca le chitarre e si rotola per terra nel pavimento dei club, con una minaccia sempre pronta a piombare sulla testa, nel contesto di un rock davvero indie (riconquistato dai sonici, in questo giro, con la firma per la Matador Records, dopo anni di Geffen). Ma non è finita, dopo i gettiti sulfurei, si spiana davanti una valle strumentale colma di eco elettrici e spiriti che si agitano nell’aria. Un gran pezzo. Preceduto dal “la-la-la-la” decadente di Leaky Lifeboat – dedicata al poeta beat Gregory Corso – e seguito dalle linee di basso maestose della Gordon inWhat We Know, si colloca, poi, forse il brano più significativo degli ultimi anni a firma Sonic Youth: Antenna. Surfing rock sulle onde di un mare di sangue, dolcezza sinistra, cambi di passo e di registro: ora pop, ora dissonanze, ora “radio friendly”, ora vetri rotti e disastro apocalittico per oltre sei minuti di inno rock fatto alla maniera sonica. Il disco, da lì, prosegue cospargendo a destra e a manca veleno e serpentine elettriche (Calming The SnakePoison Arrow) per poi chiudersi in bellezza con un nuovo capolavoro di quasi dieci minuti che porta il titolo di Massage The History. Una missiva che i Sonic Youth inviano alla storia del rock. Il brano si apre lento, con una chitarra acustica e con la voce di Kim soffocata tra i denti. In lontananza si sente l’allarme di Ranaldo lanciato in vortici di suoni. Poi al minuto quattro tutto cambia: Steve Shelley entra in campo, piatti violentati, febbre che si alza, Moore ritorna dentro e parte con la sua chitarra a strattonare il pezzo fino a farlo sanguinare, a strozzarlo, a farne scricchiolare le ossa e renderne violacea la pelle. L’inferno si svapora di nuovo al sesto giro di lancetta: i piatti di Shelley si fanno d’attesa, ritorna la sei corde acustica, si rifà vivo il cantato debole della Gordon. “I want you to suck my neck” è l’ultimo gemito che riesce a emettere prima che la storia volti pagina, trovi il tempo di scriversi, di farsi eterna. E che il disco, così, piombi definitivamente nello stomaco.

Nota: “The Eternal” è anche un unno all’immortalità dell’arte. La copertina è un’opera dell‘88 di John Fahey, musicista amico di Jim O’Rourke, morto nel 2001. Il Bobby Pyn della traccia numero nove è il chitarrista punk dei Germs morto suicida a ventidue anni. Gregory Corso è stato uno dei più controversi scrittori del beat americano.

(2009, Matador)

01 Sacred Trickster
02 Anti-Orgasm
03 Leaky Lifeboat (for Gregory Corso)
04 Antenna
05 What We Know
06 Calming The Snake
07 Poison Arrow
08 Malibu Gas Station
09 Thunderclap For Bobby Pyn
10 No Way
11 Walkin Blue
12 Massage The History

A cura di Riccardo Marra