Home RECENSIONI Sufjan Stevens – The Age Of Adz

Sufjan Stevens – The Age Of Adz

Non che credessimo veramente che Sufjan Stevens avrebbe zigzagato da nord a sud, da est a ovest nel tentativo folle di suonare un disco per ogni stato americano. Che fosse una boutade, non ci voleva un genio a capirlo. Però insomma, quel progetto lanciato per promuovere il disco “Illinois” del 2005 mostrò un lato di Stevens che ancora non si conosceva: l’impatto mediatico. Cioè, se si pensava a Sufjan solo come a un autore strano, schivo, misterioso, si stava toppando, in realtà c’è molto di più in lui. C’è la consapevolezza di giocare con le regole della comunicazione e infrangerle, di prendere in giro le convezioni, le etichette, e tutto quello che la società definisce “normalità”. Partiamo da qui per parlare di The Age Of Adz. Partiamo dal concetto di normalità che viene sin da subito spazzato via con la cover di Royal Robertson, artista americano schizofrenico. Un emblema che è una dichiarazione di intenti: Adz chi/cosa è? Cosa rappresenta? Sufjan da che parte sta nella guerra di suoni elettronici di cui è bombardato l’album? Perché può sembrare banale, ma tra l’acustica di Futile Devices e i venticinque minuti barocchi e vintage di Impossible soul sembra che lo stereo abbia erroneamente fatto un salto e acchiappato un altro disco. Idem per i voli spaziali di Too Much e il canto sacrale di Now That I’m Older o per l’abisso che passa tra la saga elettro-medioevale di Vesuvius e la pioggia acida di I Want To Be Well. Ecco la schizofrenia: pugnalate di sintetizzatori, tastiere rotanti, effetti disturbanti da una parte, cori angelici e una pace posticcia come quella che campeggia in alcuni murales pastello latinoamericani, dall’altra. Non c’è Sufjan. Non appare mai in questo disco. Ce ne sono centomila, ma tutti lontanissimi e gelidi. Perché l’elettronica e (più in generale) l’approccio sintetico alla musica, come direbbe Zappa, vanta di una precisione che le svirgolate dell’analogico si sogna. Ma insomma, c’è sempre un ascoltatore fatto di carne e ossa ad ascoltare la musica. E se certi suoni non arrivano neanche lontanamente vicini a inzuccherare (o inasprire) il suo sangue, allora (forse) sarà stato solo tempo sprecato.

(2010, Asthmatic Kitty)

01 Futile Devices
02 Too Much
03 Age Of Adz
04 I Walked
05 Now That I’m Older
06 Get Real Get Right
07 Bad Communication
08 Vesuvius
09 All For Myself
10 I Want To Be Well
11 Impossible Soul

A cura di Riccardo Marra