
Forse era scritto nelle stelle che, prima o poi, uno come Thom Yorke sarebbe arrivato a pubblicare qualcosa sotto l’egida di un’etichetta come la Warp. Perché la Warp è una casa discografica che flirta da sempre con l’elettronica più sperimentale, che ha fatto da casa e contenitore per pezzi da novanta del calibro di Aphex Twin, Oneohtrix Point Never, Flying Lotus, Darkstar, Autechre, Boards Of Canada e tanti, tanti altri ancora. Insomma, colossi del genere con cui il frontman dei Radiohead ha negli anni iniziato a condividere visioni e suggestioni, quelle che l’hanno portato a diventare egli stesso uno sperimentatore in ambito elettronico prima con i Radiohead del nuovo millennio, poi con gli Atom For Peace, poi da solista, da ultimo con gli Smile.
Tra i nomi di casa Warp c’è anche Mark Pritchard, musicista e producer che aveva già incrociato la sua strada con quella di Yorke, ospitandosi a vicenda in più di un’occasione e intessendo un rapporto fondato su modi simili di intendere il mezzo elettronico. Questa vicinanza artistica si è concretizzata adesso in un album vero e proprio, intitolato Tall Tales e firmato a nome Pritchard/Yorke. Non è sempre scontato che due artisti della loro caratura una volta unite le forze partoriscano qualcosa di realmente valido, non può essere scontato ma in questo caso è accaduto, com’era ampiamente prevedibile: “Tall Tales” è un landscape sonoro lungo un’ora in cui si susseguono soluzioni tra le più disparate, a partire dagli oltre otto minuti dell’iniziale A Fake In A Fake’s World, che chiarisce fin da subito come il convenzionale non sia di casa da queste parti.
Pritchard è dannatamente bravo nel girare tutto intorno alla voce di Yorke, sottolineandola coi suoi synth come in Ice Shelf, arrotondandola fin quasi a farla scomparire come in Bugging Out Again, accompagnandola come nella cadenzata Back In The Game che si fa forte di una melodia circolare e di un’elettronica cupissima, riempiendola di estasi come in The Spirit. E poi The White Cliffs, ancora otto minuti e passa per la traccia più radioheadiana del lotto, in cui Yorke torna in parte al falsetto mentre un beat angosciante ne affanna il respiro, Gangsters che si perde in suoni da videogame eighties, This Conversation Is Missing Your Voice che guarda molto al lavoro di Yorke con gli Smile, la title track che pare un’inquietante e oscura conversazione intercettata da un mondo lontano, la marcetta Happy Days, gli stanchi ripiegamenti espressivi di The Men Who Dance in Stag’s Heads e la fine con l’eterea ascensione di Wandering Genie.
Aspetto tutt’altro che secondario il legame strettissimo della musica di “Tall Tales” con le immagini che l’accompagnano, lavoro del visual artist Jonathan Zawada, che ha dato un volto − nel senso di rappresentazione visiva − alle elucubrazioni tessute dalla coppia Pritchard/Yorke. I video, uno per ciascuna traccia del disco, sono diversi fra loro per stile e ispirazione ma connessi uno all’altro in modo inscindibile, non soltanto perché frutto della stessa mano ma anche per il concetto di fondo, che è un loop di alienazione apparentemente inscalfibile. Esseri antropomorfi che si fanno strada in territori ignoti, immagini reali da un mondo alla deriva, un faro che diventa psichedelia allo stato puro, colori che si mischiano fra loro andando a creare volti e oggetti, pacchi di un e-commerce sul nastro trasportatore, la piazza di un paese di plastilina (?) in cui ogni strano abitante ripete ad oltranza lo stesso ipnotico movimento, un’imbarcazione di salvataggio persa in un mare in tempesta. Insomma, il solito campionario di ansie cui Yorke ha abituato e che Pritchard (lato musica) e Zawada (per la parte video) sono stati sublimi nell’assecondare.
Un lavoro così riuscito, questo “Tall Tales”, da rendere praticamente impossibile che si possa trattare di una toccata e fuga da parte dei suoi due autori. Serve dell’altro, abbiamo bisogno dell’altro, perché colonne sonore di un mondo in frantumi come questa, come la musica che a intervalli regolari ci procura Yorke, non ce ne stanno poi così tante in giro. Riuscirà mai questo ex weirdo divenuto leggenda ad essere un artista “normale”, a mettere lo zampino in progetti “normali”, a pubblicare un disco “normale”? Più passano gli anni, più prende corpo la sua discografia, più la risposta diventa inesorabilmente e meravigliosamente “no”. Per nostra fortuna.
2025 | Warp
IN BREVE: 4,5/5