
Il mondo rappresentato dai Viagra Boys nei loro album da un po’ di anni a questa parte è un mondo di cui s’è perso il (buon)senso. S’è perso completamente. E, al netto delle spassose iperboli utilizzate da Sebastian Murphy e i suoi, che servono a sottolineare con evidenziatori fluo quello che ci sta accadendo come società, non è che si possa dare così tanto torto alle loro ricostruzioni. Un mondo di apparenza, di schiavi dell’apparenza, di consumismo sfrenato, di sovrapposizione − se non proprio sostituzione − della tecnologia all’uomo e di internet alla vita reale, di complottisti che pretendono di possedere la verità, di armi maneggiate come fossero caramelle. Un mondo che la formazione svedese ha sempre trovato il modo di colpire dritto al suo cuore ormai marcio, attraverso i testi ispirati di Murphy e con un’estetica punk nella sua essenza, tanto della band quanto dei costantemente coerenti videoclip che hanno realizzato.
Gli uomini della caverna che i Viagra Boys vedevano in “Cave World” (2022) sono ancora tutt’intorno a noi e non potrebbe essere altrimenti, anche in questo viagr aboys che è il loro quarto lavoro in studio, il primo per l’etichetta della casa Shrimptech Enterprises. Un album quasi self titled, perché anche con i titoli i Viagra Boys non lasciano mai nulla al caso, e così anche lui − cioè anche la loro ragione sociale − subisce una stortura esattamente come ciò che va a raccontarci. Che in fondo è sempre lo stesso mondo, ma visto da un punto di vista differente, che si sposta ad analizzare in modo più ficcante le responsabilità personali del singolo individuo, reo in qualche modo di non aver neanche provato a tirarsi fuori dalla melma in cui sta affogando.
Come in Man Made Of Meat, in cui a parlare è un tipo che non vuole pagare per nulla, né vestiti, né medicine, né soprattutto cibo, come se le catene di montaggio che ci procurano tutto ciò non avessero dei costi elevatissimi, inversamente proporzionali a quanto andiamo a spendere per acquistare il prodotto. Come in The Bog Body, in cui l’aspetto fisico diventa un’ossessione. Come l’alimentazione di merda del protagonista di Pyramid Of Health. Come i ragazzi senza speranza, ma probabilmente inconsapevoli di ciò, di Dirty Boyz. Come le cattive abitudini di Waterboy, anche quelle apparentemente salutari e consigliate come bere tanta acqua. Come il tipo che dà in escandescenza in Store Policy. Tutto un campionario di porcherie che è difficile non ammettere di vedere quotidianamente in ogni contesto della nostra occidentalizzata vita.
Musicalmente il punto di partenza di questi Viagra Boys è sempre il post punk sbilenco cui hanno abituato dai tempi di “Street Worms” (2018), solo che quella svedese è una band con pochissima voglia di restare ferma: così spuntano fuori il sassofono jazzato di Best In Show pt. IV, i fiati impertinenti di Uno II, l’indolenza beckiana di Pyramid Of Health, il disordine carico di groove di Store Policy e persino una conclusione pianistica affidata a River King, per quello che è un generale e netto rallentamento delle consuete cavalcate. Un rallentamento cui contribuisce anche il cantato di Murphy, che spessissimo non è neanche un cantato ma un lercio spoken e che in un pezzo meraviglioso come Medicine For Horses si fa pulito come mai prima.
Il festival dell’assurdo dei Viagra Boys è il festival cui ciascuno di noi è suo malgrado iscritto come concorrente, consapevolmente o meno, un festival al quale tutti fingono di non voler partecipare ed a cui tutti guardano sprezzanti e con espressione schifata, ma che finirà − perché, hey, se non ve ne foste accorti lo sta già facendo − per inghiottirci tutti. Grottesco, surreale, ansiogeno e tristemente toccante dalla prima all’ultima delle sue undici tracce, “viagr aboys” conferma Murphy e band tra i più attenti osservatori di ciò che ci sta corrodendo, solo che invece di provare a darci un consiglio su come uscirne fuori loro stanno lì a prendersi e prenderci per il culo. Perché ormai pare esserci davvero poco altro da fare.
2025 | Shrimptech Enterprises
IN BREVE: 4,5/5